Vogliamo dirlo? Diciamolo. Quella del pilota è una vita di merda. Eccetto quei rari momenti in cui sei in macchina, corri e possibilmente vai bene, fare il pilota professionista (o giovane che ambisce al professionismo) è un lavoro ingrato. A tutti i livelli. In primis, a pesare sono le mille pressioni psicologiche che si subiscono. Tante magari sono utili a far emergere il meglio di te, altre invece sono rotture di palle gratis. Se sei un pilota squattrinato, devi trovare il budget per correre e, una volta che sei in pista, andare al massimo evitando di fare danni o “far fuori” la franchigia dell’assicurazione. Poi, andare alla ricerca dei pagamenti. Il CRO, questa creatura mitologica… Se sei un pilota coi giusti supporti finanziari, non devi deludere chi te li dà, sia esso uno sponsor, tuo padre, o addirittura una nazione. Ci sono piloti che piangono perché sentono di aver deluso la propria patria. A meno di 20 anni.
Ma perfino se sei ipermiliardario o hai un super-cognome, non andrà mai bene nulla e dovrai sempre dimostrare di essere più che all’altezza, davanti ad una folla di belve invidiose che a maggior ragione non ti perdoneranno il minimo errore. Il tutto facendo una vita del cazzo che ti vedrà massacrarti di allenamenti che preferiresti sotterrarti vivo, coaching, dieta. Sempre per il concetto che il papà ricco non ti toglie 10km di corsa alla mattina, e non fa smettere di piovere quando sei in giro ad allenarti in bici. Poi mental training, o psicologo sportivo. Hai una sola chance. Una. Forse. E diventi paranoico verso qualunque cosa, anche dettagli minimi, che te la possa far perdere. Fuori fino a tardi? Magari qualcuno ne parla, ma poi va a letto presto. Bere? Zero. Mangiare? Ma và. L’unica cosa per cui gli allenamenti ti tornano utili è rimorchiare. Ecco, quello per fortuna ci sta. Ma non è che tutti i piloti siano dei maniaci chiavatori seriali. E’ che semplicemente è l’unica cosa vagamente piacevole che possono fare in abbondanza senza compromettere troppo la loro vita sportiva.
Ti fai un culo come un cinema multisala. Poi sali in macchina, vinci una, due, dieci gare di fila… ma vinci troppo. Gli avversari rosicano e sei incazzato perché ti danno del baro, inventandosi improbabili cospirazioni. Fare il pilota, sulla carta, è un lavoro da sogno. E come per tutti i lavori da sogno, c’è uno stuolo di personaggi che pensano di saperlo fare meglio di te: solo la vita ingiusta/un complotto/la mancanza di miliardi di euro li ha privati di una chance di esprimere il loro sublime e straordinario talento. Però, sempre per questo motivo, i super-esperti sanno anche su chi puntare: se non sei tu, via a costruire tutte le più complicate teorie secondo tu non meriti quello che hai. E la complicazione delle teorie è direttamente proporzionale all’ignoranza. Se sei tu, si arriva al supporto ossessivo e a generare aspettative altissime, spesso irrealizzabili. Che quando ovviamente non si realizzano, porteranno al disappunto.
Poi, ovviamente, guai a mostrare anche solo un sentimento umano, una passione o un po’ di genuinità. C’è sempre qualcuno pronto a vomitare negatività. Scleri via radio? Mezza sega. Ti beccano con una birra in mano? Alcolizzato. Con una figa? Non sei concentrato sul tuo lavoro. Salvo poi esaltare James Hunt perché faceva baldoria, si alcolizzava e pippava coca. Spesso questo elemento è attribuito agli sponsor. I piloti non possono essere loro stessi a causa degli sponsor. In realtà è a causa del giudizio pubblico di chi la sa lunga e la sa meglio. Essere un pilota è un lavoro del cazzo anche perché non ci si può esprimere. Ma non per un motivo commerciale e di denaro. Magari! Vorrebbe dire che almeno due spicci li si è portati a casa. Invece devi prevenire il rosicamento collettivo delle masse. Che vita di merda, uno direbbe. Per fortuna a un certo punto sventola la bandiera verde, e le luci si spengono…
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